L’oliva aitana dei Colli Tifatini, in Campania, è un nuovo Presidio Slow Food

Una oliva da tavola, con una polpa così morbida da riuscire a separarla dal nòcciolo con due dita, dal colore che, al momento della raccolta a piena maturazione, oscilla tra il rosa e il nero brillante: così si presenta l’oliva aitana dei Colli Tifatini, nel Casertano, appena entrata a far parte dei Presìdi Slow Food. «È uno dei tanti esempi di biodiversità della nostra zona, ha un grande valore storico-ambientale» sottolinea Alessandro Manna, che del neonato Presidio è il referente Slow Food. Ma soprattutto «è buona, un piacere da mangiare e facile da usare in cucina».

Oliva Aitana dei Colli Tifatini, Presidio Slow Food
ph. Marco del Comune

Un nome che non deve trarre in inganno

L’aggettivo aitana significa di Gaeta, ma quella dei monti Tifatini, i colli subappenninici che abbracciano a nord Caserta spingendosi fino a Capua, non è un clone dell’oliva itrana: «La ragione del nome è semplice – spiega Manna –. Un tempo, molte olive da mensa particolarmente buone venivano chiamate così». Non vi è però dubbio sull’unicità genetica della cultivar dei monti Tifatini, accertata negli ultimi anni anche dalle analisi di laboratorio condotte dall’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr di Perugia e dal Dipartimento di scienze e tecnologie ambientali, biologiche e farmaceutiche dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Caserta.

«Quando le olive erano un alimento e non uno sfizio, tutta la fascia collinare era impiantata a oliveti – prosegue Manna – e lo dimostra il fatto che vi sono piante di questa cultivar, peraltro facilmente riconoscibili per via della forma “a merletto” che assumono quando invecchiano, a una decina di chilometri dal comune di San Prisco, che è il centro della produzione di queste olive». Poi, con il tempo, l’aitana si è in parte persa: «Un po’ per la fuga dalle campagne, un po’ per la speculazione edilizia, un po’ per gli incendi, un po’ perché si è privilegiato l’innesto di olivi adatti alla molitura – continua il referente –, fatto sta che questa varietà ha sì resistito, ma su una scala più piccola».

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