Il pollo Romagnolo è un nuovo Presidio Slow Food

Erano rimasti in cinquanta. Cinquanta esemplari in tutto, posseduti da un anziano allevatore in provincia di Ravenna. Da quel giorno del 1997, quando li mise a disposizione della facoltà di Veterinaria dell’Università di Parma affinché venisse avviato un programma di conservazione e ripopolamento della razza, è passato più di un quarto di secolo. E oggi il pollo Romagnolo ottiene il riconoscimento come Presidio Slow Food. 

Un pollo che ha bisogno di spazio

ph. Oliver Migliore

Fino alla metà del secolo scorso, questa razza avicola era diffusa in tutta l’area delle odierne province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. Rustico e abile pascolatore, dalla livrea variopinta, il pollo Romagnolo era apprezzato per la duplice attitudine, anzi triplice: innanzitutto per produrre uova, materia prima tra le più importanti della tradizione gastronomica dell’area, in particolare per la preparazione della pasta fresca, poi per la carne, sapida e saporita e, in alcuni casi, anche semplicemente a scopo ornamentale. 

«Nell’aia, il pollo Romagnolo c’è sempre stato» ricorda Lia Cortesi, responsabile Slow Food del nuovo Presidio. «Una razza rustica, che ama stare all’aperto, razzolare liberamente». Eppure, nel secondo dopoguerra, proprio la caratteristica che più lo contraddistingue – il bisogno di ampio spazio per procurarsi il cibo raspando tra i ciuffi d’erba e beccando le granaglie avanzate dalla mietitura – ne ha sancito la pressoché totale scomparsa: garantirgli lo spazio all’aperto è diventato, per chi ha preferito adottare un approccio industriale e intensivo all’allevamento, sconveniente e poco redditizio. Non solo: il pollo di razza Romagnola è piuttosto lento a crescere e impiega fino a sei-otto mesi per raggiungere la massa che le razze commerciali toccano in cinquanta o sessanta giorni. 

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